Packaging per tutti

- Categorie : Curiosità

Gli italiani trascorrono 17 minuti a settimana cercando di aprire scatole, pacchetti, pluriball, fascette e blister.

Il dato, emerso da una ricerca della multinazionale inglese DS Smith specializzata in packaging sostenibile, assume maggiore rilevanza se si pensa che il 35,5% degli intervistati ha affermato che la complessità degli imballaggi li ha portati a non acquistare più un determinato brand e il 25% ha dichiarato di non aver ordinato prodotti online a causa delle difficoltà nell’aprirli.

Con un costo medio d’acquisto di 85 euro a persona, ciò si traduce in mancati acquisti per circa 2 miliardi di euro l’anno. In realtà, il packaging più o meno difficile da utilizzare ha un impatto non solo economico, ma sociale: è ancor più importante se si considerano le fasce di popolazione con difficoltà o limitazioni fisiche per le quali una semplice scatola, non un inespugnabile bivalve in PET termoformato, può essere davvero impossibile da aprire, o una semplice etichetta con la data di scadenza può essere del tutto illeggibile se non, peggio ancora, addirittura invisibile.

Eppure le regole ci sono: per esempio, nella “Carta etica del packaging” di cui il settore si è dotato nel maggio 2015, al punto 4 si legge che un imballaggio deve essere accessibile, ovvero capace di proporsi in modo facile e intuitivo a chi lo utilizza, garantendo “un utilizzo flessibile, che includa mancini e destrorsi” e deve essere in grado di comunicare “in modo efficace anche ai soggetti più deboli e indipendentemente dalle abilità sensoriali degli utenti. […] Le modalità sensoriali della vista e del tatto, e la loro qualità, contribuiscono attivamente a rendere il packaging accessibile in ogni sua componente: accessibile grazie al trattamento grafico dei testi che ne garantisce la leggibilità; accessibile poiché l’organizzazione spaziale e l’impaginazione assicurano una facile reperibilità delle informazioni.

Scatole personalizzate con braileÈ accessibile poiché offre un’interazione immediata che ne permette l’utilizzo”.

Quindi al di là di contenere, proteggere, conservare, presentare e, quindi vendere, il packaging deve essere la porta di accesso al prodotto, e non un ostacolo.

Contro il ‘package rage’, o frustrazione da imballaggio, Amazon è stata tra le prime aziende a prendere provvedimenti, certo per motivi sociali ma anche per mere necessità pratiche di ottimizzazione della logistica, dei costi di inscatolamento e spedizione, e di smaltimento.

Andando oltre le scatole ad apertura facilitata, negli USA ha imposto ai fornitori le cosiddette scatole ‘frustration free’: solo cartone ecologico, poca plastica, pochi scomparti, insomma l’essenziale senza l’imballo originale ad apertura immediata e garantita. Hasbro e Mattel, anche in Italia, su alcuni prodotti hanno già usato queste soluzioni.

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